Non profit

Verso terapie “personalizzate”. La prima cura è l’informazione

La voce alle realtà del non profit che accompagnano i pazienti oncologici. E che sanno quanto è importante affiancare counselling e cure innovative.

di Benedetta Verrini

Curarsi dal cancro come se si stesse affrontando una malattia cronica, un diabete, un?ipertensione. è l?orizzonte aperto, già da qualche tempo, dai nuovi chemioterapici orali: pillole da assumere a casa, giornalmente, che evitano il ricorso ai cicli di chemioterapia in ospedale. Se ne è parlato il 22 ottobre scorso al congresso dell?Associazione italiana di oncologia medica che si è svolto a Roma, dove è emerso che, oltre che per il tumore alla mammella, i chemioterapici orali sono sperimentati da un anno anche per quello al colon retto. “Certamente, il ricorso a queste terapie tutela in modo più ampio il paziente, che non è più obbligato al percorso ospedaliero”, commenta Daniela Cattaneo, direttore socio-sanitario di Vidas, l?associazione milanese che offre assistenza completa e gratuita ai malati di cancro in fase avanzata e terminale. “Infatti, se da un lato il tradizionale ciclo di chemioterapia permette alla struttura ospedaliera di standardizzare e di ottimizzare l?assistenza al malato, attraverso il controllo periodico della sua situazione clinica”, spiega la Cattaneo, “per il paziente comporta una full immersion nella malattia, un buco nero rispetto alla sua quotidianità, in cui inevitabilmente si acuisce la sofferenza psicologica”. Ben venga, dunque, un tipo di cura che permette un?accettazione diversa della malattia e migliora direttamente la qualità della vita. Ma non solo: per il malato, la metodologia attraverso cui si giunge alla terapia è importante almeno quanto l?utilizzo del prodotto più innovativo. La personalizzazione della cura, insomma, insieme al dialogo medico-paziente è la chiave per combattere il cancro: “Per noi, che in ventun anni abbiamo assistito oltre 12mila malati”, prosegue la Cattaneo, “non esiste altro approccio possibile: la personalizzazione è essenziale, è un dialogo, un percorso che si costruisce tenendo conto delle condizioni cliniche del paziente, della sua risposta individuale, oltre che quella della sua famiglia, a questa esperienza”. Acquisendo la storia clinica di tanti malati che si trovano nello stadio più avanzato, la Cattaneo individua alcuni punti di criticità ricorrente: “Forse non tanto nelle scelte terapeutiche, piuttosto, nell?accesso alle informazioni” spiega. “Guardando alla propria vicenda, molti malati spesso lamentano di non essere stati messi sufficientemente al corrente di quello che sarebbe accaduto. Sul decorso della malattia, sugli effetti della terapia. Certo, nel campo oncologico non è facile offrire una comunicazione di questo tipo. Però un attento counselling sanitario, realizzato tenendo conto della personalità di ciascun paziente, è un passaggio fondamentale per la comprensione di ciò che si sta vivendo”. La piena consapevolezza del trattamento, da parte del malato, spesso si rivela un?arma importante nella lotta al tumore. Lo sa bene il professor Francesco Maria Fazio, associato di Chirurgia generale presso la facoltà di Medicina e chirurgia dell?Università degli studi di Milano, e presidente Andos. Andos, associazione nazionale donne operate al seno, nel settore è una delle realtà di volontariato professionalizzato più estese sul territorio nazionale. Con i suoi 50 comitati ha prestato assistenza a quasi 200mila donne. “L?accompagnamento dei nostri volontari, formati nell?ambito di corsi specifici e costituiti da medici, fisioterapisti, psicologi e donne operate al seno”, spiega il professor Fazio, “consente ad altre donne di affrontare un percorso di autoaccettazione e di accedere a un sostegno medico, psicologico e umano”. Oltre all?accompagnamento di donne già operate, l?associazione è in prima linea nel campo della prevenzione e della sensibilizzazione, attraverso programmi di educazione sanitaria presso la seconda facoltà di Medicina e chirurgia all?università La Sapienza di Roma. Ogni anno in Italia ci sono 35mila nuovi casi di tumore alla mammella. Grazie alla ricerca, sono disponibili test predittivi sull?andamento della malattia e sulla risposta alle terapie comunemente usate. “Sono strumenti importanti, se usati nel modo giusto, soprattutto nel quadro di una diagnosi precoce” commenta Fazio. “La differenza di un centimetro, nel tumore al seno, può significare vita o non vita. Per questo motivo puntiamo sulla prevenzione, in modo che una diagnosi anticipata possa, oltre che garantire la sopravvivenza, consentire anche un intervento il meno invasivo possibile”. Non a caso, ricorda Fazio, da quando il sistema sanitario ha adottato programmi di screening contro il tumore alla mammella, rivolto al 10% della popolazione (donne tra i 50 e i 70 anni), si è abbattuta la mortalità. “Certo, bisognerebbe fare di più” aggiunge. “Ad esempio, abbassare la fascia d?età e ricomprendere donne più giovani, ma ci si scontra con problemi di costi”.

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